Fano (PU) – “Ottima l’iniziativa promossa dall’Assessore Marina Bargnesi di una assemblea cittadina aperta per dibattere sul futuro del nostro Ambito Sociale n. 6. Molto buona la partecipazione e molto interessanti le tre relazioni dei coordinatori d’ambito di Jesi, Senigallia e Pesaro, che hanno portato le esperienze – molto diverse fra di loro – di territori sufficientemente vicini alla cultura dei servizi sociali che abbiamo anche nel nostro ambito sociale”. Ad intervenire è Gabriele Darpetti.
“Il mio contributo al dibattito parte dalla considerazione che molto degli intervenuti, e anche dei tre relatori, hanno parlato della necessità di riattivare la partecipazione. La partecipazione dei cittadini e dei componenti del terzo settore in quelli che sono chiamati comunemente ‘tavoli d’ambito’. Io personalmente ritengo che si debba andare oltre la ‘semplice’ partecipazione ed affrontare con coraggio il tema della sussidiarietà”.
“Se ci si pone nell’ottica di reperire risorse aggiuntive, rispetto a quelle che possono mettere in campo Comune e Regione, e parlo non solo di risorse finanziarie ma anche energie umane (anche il prezioso lavoro di tanti volontari ha un valore economico), allora c’è bisogno di “coinvolgere” tutti gli attori che sono coinvolti a vario titolo nelle prestazioni sociali o che di esse indirettamente ne beneficiano (esempio le imprese)”.
“Infatti attuare in modo concreto la sussidiarietà significa condividere in maniera sistematica e strutturata, e non episodica o superficiale, le quattro fasi di produzione dei servizi di welfare: la pianificazione (ossia la lettura dei bisogni e la decisione delle priorità), la progettazione, l’erogazione e la valutazione, ossia la verifica dell’efficacia dell’intervento (fase troppo spesso dimenticata) fra i tre attori principali della nostra società: enti pubblici (Stato, Regioni, Comuni, Ambiti Sociali), imprese (aziende profit, banche, Fondazioni, enti e associazioni economiche) e società civile organizzata (associazionismo di vario genere, organizzazioni di terzo settore, sindacati, cooperative sociali)”.
“Questa prospettiva deve affrontare due problemi (entrambi superabili ma che necessitano un certo periodo di lavoro): 1 – la resistenza culturale degli Enti Pubblici a perdere la supremazia nella gestione dei servizi di welfare, perché praticare la sussidiarietà comporta arrivare necessariamente ad una “condivisione di sovranità”, 2 – il poco coraggio a ‘mettersi in gioco’ da parte dell’associazionismo sociale (capisco che “contrattare personalmente” con l’assessore o il funzionario di turno il proprio ‘tornaconto’ sia più facile che condividere con tutti in maniera trasparente le risorse utilizzate e le proprie modalità organizzative!) e la resistenza culturale dei cittadini che di fronte ad interventi anche economici di imprese e fondazioni viene percepita come una ‘privatizzazione’ dei servizi di welfare. In questo caso occorre far comprendere a tutti le conseguenze della sussidiarietà che si possono concretizzare nell’affermazione che non solo ciò che è statale è pubblico, ma è pubblico anche ciò di cui si fa carico una comunità territoriale nel suo insieme”.
“Per affrontare queste due criticità, sapendo che occorre un lavoro di relazioni e di costruzione di una fiducia reciproca lunga e faticosa, ritengo sia necessario partire da subito con la costituzione di una ‘Consulta comunale per il welfare’ che cominci immediatamente a far lavorare insieme tutti i soggetti sopra citati almeno nella fase della pianificazione e della lettura dei bisogni. Mi rendo perfettamente conto che l’ambito comunale di Fano non esaurisce il ‘bacino’ dell’ambito sociale sei, ma se intanto si riesce a superare queste due criticità a Fano, si è comunque fatto più di metà del lavoro”.