Dati Cgil sul lavoro, continua la diminuzione delle imprese attive
- 30 Aprile 2018
Pesaro (PU) – “Il mercato del lavoro, reso più fragile dalla crisi e dalla progressiva deregolamentazione legislativa degli ultimi anni, accompagnata da un disinvestimento pubblico sulle politiche attive per il lavoro e sulle politiche sociali, ha reso la forza lavoro, costituita da chi lavora e da chi un lavoro lo cerca, enormemente più fragile e più esposta al rischio di precarietà rispetto al passato. Sono cambiati i rapporti di forza in senso sfavorevole ai lavoratori e assistiamo, contemporaneamente, ad una polarizzazione delle competenze tra lavoratori qualificati e lavoratori poco o per nulla specializzati. Questi ultimi, tra l’altro, sono sempre lo specchio della struttura produttiva su cui insistono e se quel sistema produttivo è fragile e complessivamente poco qualificato altrettanto lo sarà l’offerta di lavoro. Chi è qualificato, nella peggiore delle ipotesi, se ne va altrove”. Ad affermarlo è Simona Ricci della segreteria generale della Cgil di Pesaro che aggiunge: “Alcuni dati per riflettere sulla lenta, lentissima guarigione dalla crisi che il nostro territorio provinciale sta attraversando: anche nel 2017 non si arresta la fase prolungata di contrazione del tessuto imprenditoriale provinciale, le imprese attive diminuiscono di altre 263 unità (meno 0,7%, 35.457 il numero delle imprese registrate e attive, dati CCIAA rielaborati da Cgil Pu), con una flessione più accentuata della media marchigiana (meno 0,2%), mentre il resto del paese è già in territorio positivo (più 0,1%). Pesaro e Urbino è all’89° posto nella classifica delle province italiane per tasso di crescita delle imprese. Diminuisce l’industria, ancora sottoposta ad un forte processo selettivo, diminuiscono le costruzioni, un debole segno più per i servizi (+ 0,1%)”.
“Nel mercato del lavoro e nella struttura demografica della provincia – spiega Ricci – si segnalano due tendenze contrapposte e significative: per il quarto anno consecutivo continua a diminuire la popolazione residente con più di 15 anni , che cala di altre 540 unità ma è il trend dal 2010 ad oggi che ci segnala questo declino demografico con più evidenza: Pesaro e Urbino perde lo 0,7%, le Marche lo 0,2%, mentre a livello nazionale la popolazione con più di 15 anni cresce del 2,1% e le regioni del Centro crescono ad un ritmo del 3,6%. Tutto ciò ha un impatto significativo sulla forza lavoro, costituita da coloro che sono occupati e da coloro che un lavoro lo cercano che continua il suo lento declino dal 2012, passando dalle 174.371 persone del 2012 alle 161.000 del 2017, segnando un modesto più 0,3% solo nell’ultimo anno. Nonostante il balzo in avanti dell’occupazione avvenuto nel nostro territorio nel 2017, più 6000 occupati, costituito prevalentemente da lavoratrici, soprattutto dipendenti, le prime a rimettersi in gioco e purtroppo le prime a essere costrette ad accettare un’occupazione precaria e discontinua, Pesaro e Urbino continua a marcare le distanze da un Centro Italia, per non parlare del Nord, che segna una ripresa anche occupazionale più marcata e più vivace, un + 4% di occupati dal 2012 ad oggi loro, un meno 8,5% noi”.
“L’analisi è relativamente chiara e facile – conclude -, quanto alle ricette, facile scriverle, meno semplice scegliere e dosare gli ingredienti: questi ultimi richiederebbero un cambio di passo nella definizione delle strategie, quelle adottate sin qui evidentemente deboli, sia a livello provinciale che regionale, una selezione qualitativa degli investimenti pubblici e privati sostenuta e orientata ad uno sviluppo di qualità e, soprattutto, uno strappo definitivo ed inequivocabile rispetto alle scelte sulle risorse umane fatte sin qui dal sistema delle imprese: la via della precarietà, del sotto inquadramento rispetto ai titoli di studio e all’esperienza maturata, del lavoro irregolare, è un vicolo stretto e soffocante per i lavoratori costretti ad imboccarlo, perché privi di alternative, ma è anche un vicolo corto e chiuso per le imprese che lo intraprendono. In fondo ad esso c’è il muro spesso della competitività globale, dei suoi standard selettivi, degli investimenti necessari per abbatterlo. Le sfide qualitativamente più elevate stanno però al di là di quel muro: occorre avere la volontà di abbatterlo. Noi, ‘armati’ di qualche proposta concreta, siamo pronti per farlo”.