Fano (PU) – Telefoni che squillano di continuo, mappe della città, uomini in divisa che entrano ed escono. Questo e molto altro è il C.o.c., il Centro Operativo Comunale che ieri ancora una volta si è dimostrato impeccabile per organizzazione e celerità sin dalle 19, orario in cui è stata convocata la riunione tra i componenti, con a capo tutte le alte cariche delle forze dell’ordine, a cominciare da Prefetto e Questore. Seppur ampia, la sala riunioni dello stabile in via Borsellino 1, è riuscita a contenere a fatica tutte le persone sedute attorno al tavolo, tra cui anche gli amministratori e tecnici locali, tant’è che ad un tratto il comitato si è diviso in due “squadre” con Prefetto, questore e artificieri da una parte e volontari, croce rossa e assessori dall’altra.
Alle 20.49, tre quarti d’ora dopo l’arrivo al C.o.c. del sindaco Massimo Seri inizialmente assente per impegni istituzionali a Roma, la decisione: tutte le case e gli edifici compresi in un raggio di 1816 metri dall’ordigno andavano subito evacuati. Immediata la comunicazione del sindaco delle zone off limits, dei relativi punti di ritrovo e d’accoglienza e altrettanto immediato il panico dei cittadini con il telefono del Centro che in breve tempo diventa bollente. Tra i più attivi gli assessori Samuele Mascarin, Cristian Fanesi e Caterina Del Bianco, non da meno i loro colleghi Marina Bargnesi, Carla Cecchetelli, Marco Paolini e Stefano Marchegiani impegnati a dar manforte agli operatori della Protezione Civile e della Croce Rossa per trovare palestre o stabili di adibire a dormitorio o a coordinare l’evacuazione di case di riposo e centri diurni.
“C’è bisogno di un’ambulanza in quella via… in quella palestra servono più coperte… quella parrocchia è disponibile ad ospitare”. Un caos tutto sommato controllato, sempre monitorato da sindaco, prefetto, questore e artificieri fino agli ultimi interminabili minuti da quando cioè, intorno alle 5.30, sul C.o.c. cala un silenzio quasi surreale alla partenza delle operazioni di rimozione. Minuti che sembrano secoli, il cuore in gola di chi sa che in quel momento degli uomini stanno rischiando la propria vita per salvare quella degli altri, fino alla chiamata finale, intorno alle 6.15 e quel “Tutto ok, la bomba è in mare” che fa tirare un sospiro di sollievo a chi sa di aver gestito alla grande un’emergenza di proporzioni inimmaginabili.
Gli abbracci e le strette di mano finali sono l’epilogo di una giornata lunghissima in cui la differenza tra l’alta carica militare e il semplice volontario ha lasciato spazio alla sinergia e alla collaborazione reciproca, perché in situazioni come queste a contare è il valore umano e non la divisa che indossi.