

Roma – L’Europa ha messo il termometro al portafoglio e il risultato fa sudare freddo: l’estate di caldo, incendi, siccità e alluvioni è costata almeno 43 miliardi di euro, una botta pari allo 0,26% della produzione economica UE. E non è finita: entro il 2029 il conto potrebbe lievitare a 126 miliardi. A guidare la classifica dei disastri economici ci sono Cipro, Grecia, Malta e Bulgaria, con perdite superiori all’1% del loro valore aggiunto lordo. Subito dietro gli altri soliti noti del Mediterraneo: Spagna, Italia, Portogallo. E questo senza nemmeno conteggiare gli incendi “storici” che hanno bruciato il Sud Europa ad agosto. Lo studio, firmato da economisti di Mannheim e della BCE, è stato definito “prudente”. Prudente perché sottostima. Non calcola i morti triplicati nelle città durante l’ondata di calore di giugno, né i cantieri fermi per il caldo o i treni bloccati dalle inondazioni. Il collasso climatico, intanto, ha reso “40 volte più probabili” le temperature infernali in Spagna e Portogallo, e “10 volte più probabili” in Grecia e Turchia.
Gli esperti lo dicono chiaramente: i danni indiretti sono i più subdoli. Fili di approvvigionamento spezzati, fabbriche lontane dai disastri che vanno in crisi perché il fornitore è sott’acqua. Effetti che spesso valgono “un terzo in più dei danni calcolati”.
Come nota Stéphane Hallegatte della Banca Mondiale, il PIL non racconta la sofferenza: “Se il disastro colpisce i poveri, l’impatto sul valore aggiunto lordo resta minimo. Ma questo non significa che non soffriranno”.