

Roma – E’ morto “l’Immortale”. Hulk Hogan, l’uomo che portò il wrestling fuori dalle palestre e dentro il mito pop – e poi in politica strappandosi la canotta per Trump – è morto a 71 anni a causa di un arresto cardiaco. Secondo quanto ricostruito da TMZ, Hogan – al secolo Terry Bollea – si è sentito male nella sua casa di Clearwater, in Florida. L’ambulanza è arrivata, i medici hanno tentato di rianimarlo, ma stavolta non c’era nessun ring, nessun conteggio sospeso al due e mezzo. Fine. Solo poche settimane fa la moglie aveva rassicurato tutti: niente voci strane, solo un’operazione al collo fatta a maggio, roba di ordinaria manutenzione per un corpo che per quarant’anni ha recitato la parte del superuomo tra body slam e bandane giallorosse. La realtà ha steso la finzione. Se ne va un pezzo di immaginario collettivo anni 80 e 90, quando Hogan era più famoso di qualsiasi attore, più amato di qualsiasi politico. Dodici volte campione del mondo, “The Incredible” poi “The Immortal”. I suoi match, il suo ingresso nel delirio del pubblico, le sue frasi a effetto rivolte ai “little Hulkamaniacs”: iconico è un aggettivo che va speso con parsimonia, in questo caso è speso bene. Il cinema lo ha definitivamente reso memorabile, con la sua apparizione in Rocky III, la sfida fisica a Stallone che negli anni sarebbe diventato anche suo amico e sponsor nella Hall of Fame.
E’ stato una cartolina, e ovviamente un uomo stropicciato: finì sotto accusa per frasi razziste emerse da un video privato. Lui si giustificò, chiese scusa, ma l’immagine era compromessa. Il ritorno nel grande carrozzone della WWE non è mai davvero avvenuto. E così il suo ultimo match, quello vero, lo ha combattuto fuori dal ring: tra scandali, operazioni, endorsement politici e un corpo ormai consumato. A suo modo certamente “immortale”.