
DIRE – “Medici a Gaza costretti a non curare bambini malnutriti sopra i 6 anni”
- 15 Agosto 2025
Roma – “I medici a Gaza sono costretti a una pratica terribile: quando vengono portati i bambini malnutriti, devono rimandare a casa quelli dai sei anni in su perché non hanno farmaci e cibo speciale sufficiente per tutti. Loro, a differenza di quelli sotto i 5 anni, forse hanno una speranza in più di sopravvivere senza cure ospedaliere. Forse”. Parla con l’agenzia Dire Raed Almajdalawi, presidente dell’Associazione Palmed Italia Onlus, che realizza progetti di formazione e scambio a sostegno del sistema sanitario di Gaza. L’intervista avviene mentre in queste ore il ministero della Sanità ha rivisto a 239 il bilancio delle persone morte per fame – di cui 106 bambini – e centoquattro ong hanno denunciato, da un lato, il blocco agli aiuti dal 2 marzo scorso e, dall’latro, il nuovo sistema di registrazione israeliano delle organizzazioni umanitarie, che rischia di mettere al bando soggetti che forniscono beni e servizi vitali alla popolazione.
“A Gaza non entra nulla” conferma Almajdalawi, originario di Gaza, residente da anni in Italia dove lavora come radiologo presso la clinica Poliambulanza di Brescia. La premessa: “Il lancio degli aiuti dal cielo è inutile e rischioso, perché potrebbe colpire le persone e non raggiunge tutti”. Anche il governo italiano ha aderito all’aviolancio di aiuti, nonostante gli appelli dell’Onu e delle ong a fare, invece, pressione affinché il governo israeliano autorizzi il normale accesso via terra dei convogli.
A questi si aggiunge Euromed Rights, forte di uno studio con cui ha dimostrato che gli aiuti lanciati tra il 26 luglio e l’11 agosto hanno risposto ad appena lo 0,4% del fabbisogno della popolazione. Il calcolo parte dal fatto che a Gaza dovrebbero entrare almeno 600 camion di aiuti al giorno. Ogni camion equivale a trenta lanci di aiuti dal cielo. Nei diciassette giorni presi in esame, Euromed ha calcolato che a Gaza sarebbero dovuti entrare circa 10.200 camion, mentre i pacchi effettivamente lanciati dal cielo sono stati 1.218, pari a 40,6 camion: un quindicesimo del fabbisogno di un giorno. Il presidente di Palmed continua: “C’è un altro rischio: oltre una certa soglia di malnutrizione, l’organismo non accetta più cibo e la persona potrebbe addirittura morire“. Per questo serve prendere in cura le persone, fornendo trattamenti, farmaci e alimenti specifici, che ormai negli ospedali scarseggiano: “Comporta danni all’organismo che sono più rapidi nei più piccoli”.
L’Unicef e il World Food programme stimano che 500mila persone, circa un quarto della popolazione di Gaza, siano sull’orlo della carestia. Ma negli ospedali “sta terminando tutto, anche gli aghi o i flaconi per le flebo, il sondino naso-gastrico o per la nutrizione endovenosa, oppure garze, antisettici, anestetici, aspiratori, macchinari per tac e risonanza magnetica. Malati di cancro o in dialisi non hanno più cure”. Gli accessi negli ospedali continuano per le conseguenze della fame – che causa anche infezioni e rende impossibile alle ferite di rimarginarsi, provocando amputazioni – e per le conseguenze degli attacchi. Lo sa bene il dott. Almajdalawi che ha perso 23 membri della sua famiglia. L’ultimo a metà luglio, a causa di un drone israeliano: “Mio fratello Ramez è stato ucciso perché anche l’acqua viene usata come arma per portare avanti il genocidio”. Il radiologo ricorda che il giorno prima dell’uccisione, il 13 luglio, si era verificato un attacco in un campo profughi contro persone in fila per l’acqua in cui erano morti otto bambini.
“A Gaza- ricorda- sono stati distrutti 720 pozzi e tutti gli impianti di desalinizzazione, perché l’acqua di Gaza è naturalmente salata. Per avere acqua bisogna andare a piedi lungo strade dissestate e attendere a volte delle ore. È molto faticoso”. Dopo quel 13 luglio, “mia cognata mi ha detto che Ramez stava molto male. Quella strage di bambini lo aveva profondamente impressionato. Decise di prendere l’autocisterna per distribuire l’acqua. Lei ha cercato di dissuaderlo, perché chi porta acqua o cibo finisce nel mirino dei droni, ma lui le ha risposto: ‘la gente muore di fame e sete, non posso non fare nulla’. Un drone ha aperto il fuoco contro la cabina di guida, ci sono stati anche dei feriti”.
Raed Almajdalawi commenta: “Soffro per mio fratello, ovviamente, ma ogni vittima di Gaza è nel mio cuore. Non sono numeri ma persone che meriterebbero di vivere in dignità e sicurezza. Invece, anche il silenzio complice del mondo li uccide”. Nata nel 2008 come filiale italiana di PalMed Europe, Palmed Italia lavora negli ospedali e nelle università per offrire corsi di formazione e aggiornamento: “Il sistema sanitario di Gaza- spiega- è non funzionante dal 2006, perché Israele applica da allora un embargo che nega anche la possibilità di aggiornamento e formazione per medici, dottorandi, studenti e tante altre figure professionali”. Dall’ottobre 2023, PalMed fornisce anche cure di base tramite cliniche fisse e mobili, con personale locale pagato dalla Onlus, che si spostano a seconda degli ordini di evacuazione emessi dall’esercito e dei movimenti degli sfollati. “Portavamo anche farmaci tramite l’Oms, ma dal blocco del 2 marzo abbiamo dovuto interrompere il servizio”.
Dal gennaio 2024, tramite la rete europea che coinvolge undici Paesi, “abbiamo iniziato ad inviare delegazioni medico-sanitarie composte da professionisti altamente specializzati, soprattutto in chirurgia”. Fino a fine maggio, potevano portare piccoli carichi di farmaci, “poi è stato vietato” riferisce il presidente di PalMed, che aggiunge: “e dell’ultima delegazione di sette medici – circa la ventesima – le autorità israeliane hanno consentito l’accesso solo a 4 membri, non si sa perché”. Una limitazione enorme al lavoro della rete che punta anche a “dare supporto a medici e infermieri locali, malnutriti e traumatizzati a loro volta”.
In questo senso, da sottolineare il lavoro della “PalMed Academy”: “dopo la distruzione di tutte le università, si sono iscritti 2.100 studenti in medicina per la formazione continua, per studiare e sostenere esami a distanza, e a febbraio- conclude il medico bresciano- ben 215 ragazze e ragazzi si sono laureati e ora hanno finito il tirocinio di sei mesi: sono pronti a lavorare”.