

Roma – Cinque anni, 90.000 chiazze di petrolio. Solo 474 sono finite sui registri ufficiali. Il resto? Invisibile, almeno per le autorità. Una voragine di omissioni rivelata da un’inchiesta del Guardian, Lloyd’s List e Watershed Investigations, incrociando rapporti ufficiali e satelliti che hanno mappato mari interi ricoperti da strisce nere come vene tossiche.
La Florida State University aggiunge il colpo di grazia: tutte quelle chiazze viste dallo spazio sono illegali, e superano i limiti di inquinamento di “almeno tre ordini di grandezza”. Niente incidenti: nella maggior parte dei casi sono scarichi deliberati di acque di sentina, la miscela oleosa che ristagna nella pancia delle navi. Un modo spiccio e vietato di liberarsi di un problema strutturale.
Gli scienziati parlano chiaro: il 20% delle macchie mondiali – oltre 90.000 – proviene da navi, coprendo un’area pari all’Italia. Solo il 2% è legato a piattaforme petrolifere, il 6% a fuoriuscite naturali. Il resto? Navi fantasma e scarichi che evaporano nei registri.
La Convenzione Marpol resta lettera morta: avviare un procedimento costa troppo e i tempi legali giocano a favore dei giganti del trasporto. La Corte dei conti europea certifica che nemmeno in acque UE, dove le leggi sono più severe e i satelliti vigili, si va oltre qualche multa simbolica: meno della metà delle segnalazioni viene controllata, e solo il 7% delle chiazze è confermato come inquinamento.
Il quadro è globale: uno studio sulle coste dell’Africa occidentale mostra che tra 2021 e 2022 il 16% delle chiazze – equivalenti a 28.800 campi da calcio – proveniva da navi. Le autorità internazionali non hanno registrato neanche un incidente, in quelle acque. Il risultato è un inquinamento cronico, invisibile nei report e devastante per la vita marina.