Roma – “L’argomento è troppo sensibile per essere letto solo da un punto di vista politico. Bisogna affrontarlo con equilibrio e rispetto della complessità umana“. Ha risposto così lo psichiatra Giuseppe Bersani, già professore ordinario di Psichiatria alla Sapienza di Roma, criminologo e psichiatria forense, interpellato dalla Dire in merito allo scontro tra il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, e le opposizioni durante l’esame in Aula sul provvedimento sul consenso informato.
“È vero che un’educazione all’affettività profonda, ben fatta e prolungata nel tempo può ridurre i casi di persone soggette a comportamenti violenti- ha proseguito l’esperto- Ma la personalità non è frutto dell’educazione: se un individuo ha una struttura narcisistica o possessiva, per esempio, anche la migliore formazione non lo renderà immune dal rischio di agire in modo patologico”.
Secondo lo psichiatra, l’effetto dell’educazione si misura solo nel lungo periodo e sempre entro certi limiti: “Educare oggi i ragazzi significa sperare che tra vent’anni siano più maturi e consapevoli. Ma davanti a disturbi della personalità – non parliamo di malattia, ma di tratti caratteriali disfunzionali- evidenzia- l’educazione può fare fino a un certo punto. Alcune dinamiche soggettive possono spingersi oltre ogni insegnamento ricevuto”.
Bersani, poi, osserva che la sola condanna sociale al femminicidio non basta a prevenirlo: “Oggi per fortuna c’è una fortissima riprovazione sociale e culturale verso la violenza sulle donne, eppure i casi continuano. Per certe persone, la consapevolezza o la condanna non servono a nulla. Quando nella coppia l’autonomizzazione della donna diventa intollerabile, si può arrivare a una reattività estrema: si uccide lei e poi ci si uccide. La vita finisce lì”. Lo psichiatra evidenzia anche un aspetto inquietante e poco discusso, cioè l’effetto emulazione: “Il femminicidio, oggi, per molti soggetti fragili è diventato un’opzione possibile ed entra nel ventaglio delle risposte a una crisi di coppia”.
Bersani precisa che questo “naturalmente non è un invito al silenzio, ma anzi è giusto parlarne il più possibile”, allo stesso tempo, però, chiede attenzione sulla complessità del fenomeno: “Su mille persone che sentono questi casi, una può essere particolarmente vulnerabile, suggestionabile. E per quella persona l’omicidio può ‘normalizzarsi’, diventare una via pensabile. È un rischio sottile, ma reale”.
In conclusione, lo psichiatra ribadisce il suo punto: “L’educazione affettiva è utile, va promossa, ma non risolve il problema alla radice. Può contribuire a ridurre i femminicidi, non a eliminarli. Bisogna affrontare anche la dimensione psicologica e culturale profonda- conclude il professor Bersani- quella che porta certe persone a considerare la violenza come un modo possibile di finire una storia”.