

Pesaro – Non bastasse il caldo record e l’afa, le tensioni internazionali, la ripresa dell’inflazione, l’aumento delle materie prime e dei costi di carburanti ed energia, adesso dobbiamo affrontare anche la questione dazi. “Siamo preoccupati – dice il presidente della CNA di Pesaro e Urbino, Michele Matteucci – i dazi che gli Usa vogliono imporre ai prodotti europei non sono una bazzecola. Tanto più se aggiunti alla svalutazione del dollaro. Dico che sono seriamente a rischio non solo le esportazioni, la tenuta delle nostre imprese e i posti di lavoro. Conseguenze che si sentiranno fortemente anche in provincia di Pesaro e Urbino”.
“Certo se pensiamo all’ondivaga condotta del presidente Usa bisogna ricordare che all’inizio della trattativa i dazi minacciati dagli States erano addirittura del 50%. Evidentemente si è percorso un buon pezzo di cammino. Ma la strada è ancora disseminata di difficoltà. L’obiettivo, infatti, non può che essere quello di ‘dazi zero’. E casomai, in prospettiva, quello di un’area di libero scambio Ue-Usa”.
“Ora che la parola è passata decisamente all’Europa – evidenzia Matteucci – l’Unione dovrebbe far valere il valore del suo Pil, il 22% a livello mondiale (poco inferiore al 25% degli Usa). E mettere sulla bilancia anche l’incontrovertibile constatazione che dal piano di riarmo a guadagnarci saranno gioco forza le imprese statunitensi. Bruxelles dovrebbe, nel contempo, impegnarsi a facilitare il commercio infra-europeo, oggi ostacolato da lacci e lacciuoli anti-economici”.
“Al governo italiano – dice Matteucci – chiediamo non solo di fare ulteriori pressioni su Washington ma anche, forse prioritariamente, di studiare con rapidità piani di accesso ad altri mercati internazionali. In particolare, ipotizzando una massiccia serie di missioni nel mondo alle quali partecipi, però, il sistema Paese nella sua interezza. Bisogna puntare su missioni di filiera – conclude il presidente CNA – evitando che all’estero sia condotta solo una minoranza di grandi e medie aziende lasciando a casa oltre nove imprese su dieci, ovvero l’ossatura del Made in Italy, della nostra regione e provincia, quasi fossero figlie di un dio minore”.