
L’importanza del riscaldamento muscolo-tendineo
- 19 Novembre 2018
Senza ombra di dubbio per tutte le persone che praticano sport sia a livello amatoriale ma soprattutto a livello professionistico, parte imprescindibile delle esercitazioni sportive, allo scopo di predisporre le capacità di prestazioni e di prevenzione degli infortuni e/o traumi da sport è il riscaldamento.
Quest’ultimo è composto da pratiche di attività fisiche, diciamo così preliminari, che servono a mettere l’atleta nelle condizioni di affrontare un lavoro successivo e più impegnativo. In qualsiasi genere di sport, sia nella fase di allenamento che in una competizione, l’atleta, mediante fasi preparatorie, va alla ricerca delle predisposizioni ottimali al lavoro che dovrà affrontare.
L’aspetto più semplice ed anche più conosciuto del riscaldamento è appunto la preparazione della struttura muscolo – tendinea ai contenuti dell’allenamento o della gara. Come sappiamo, la funzionalità della struttura deputata al movimento aumenta la sua efficienza nel momento in cui la temperatura è più elevata di quella basale, per questa ragione, il primo intervento è volto ad innalzare la temperatura corporea di tutto l’organismo o di uno specifico distretto muscolare in riferimento al successivo impegno richiesto.
Esistono ovviamente diverse tipologie di riscaldamento: quello passivo e quello attivo.
Per quanto concerne il riscaldamento passivo, esso si compone di tecniche prodotte passivamente appunto dall’esterno come ad esempio: il fare ricorso a massaggi o a tute termiche e utilizzare macchine e/o cuscini vibranti.
Lo stretching passivo è basato sul rilassamento muscolare attraverso un’azione che coinvolge il sistema nervoso. Essendo il riscaldamento una pratica tesa al rilassamento che, per definizione, deve attivare l’organismo, queste forme di warm – up, a nostro avviso, sono poco utili e spesso difficilmente praticabili.
Altre tecniche più note e redditizie sono a caratteristica endogena e traggono origine in maniera diretta dall’attività motoria vera e propria, come ad esempio il riscaldamento attivo che a sua volta può essere distinto in: generale e specifico.
Il riscaldamento generale non è altro che un’attività piuttosto prolungata che mira appunto al riscaldamento di tutto il corpo. L’aumento della temperatura provoca iperemia (maggior afflusso del sangue) nel muscolo, aumenta il metabolismo, facilita la rimozione dei prodotti di rifiuto e riduce la viscosità muscolare che è spesso causa di difficoltà di rilassamento e quindi di traumi muscolari. L’iperemia del muscolo, insieme al calore, promuove una maggiore disponibilità tendineo – legamentosa e articolare che aiuta a sopportare meglio i momenti critici dell’attività sportiva. Il muscolo e l’articolazione, quando sono freddi, risultano senza dubbio più fragili e sono maggiormente soggetti a lesioni causate da sforzi improvvisi. Questo è il principale motivo per il quale lo stretching, che pure è un’importante attività di riscaldamento, deve essere usato quando si ha la certezza di aver già ottenuto un buon aumento della temperatura nella zona interessata. L’incremento della temperatura inoltre ha lo scopo di preparare sia le funzioni muscolari che organiche (chiamando in causa anche il sistema cardiocircolatorio e respiratorio) ad una risposta “più pronta” ed innalza il livello di prestazione riducendo fortemente i rischi che l’impegno muscolare può creare.
Questo tipo di riscaldamento si fonda su di una serie di esercizi che devono coinvolgere i diversi settori del nostro corpo, o meglio, il 50% circa della muscolatura globale.
La scelta su come fare ciò è ampia, si può optare dalla semplice corsa, trasformata con abbinamento degli arti superiori, dai saltelli con spinte o con slanci delle braccia, con l’impegno del busto, con gli esercizi in quadrupedia o eventualmente si può fare uso della cyclette e/o bicicletta, del salto della corda, dello step, ecc.
Come accennavamo poc’anzi, questo genere di attività, oltre ad aumentare la temperatura generale del corpo, innalza la frequenza cardiaca e respiratoria che insieme al miglioramento della vaso – dilatazione, provocano nei distretti periferici una perfusione del sangue veicolando così più facilmente l’emoglobina e soddisfando il fabbisogno di ossigeno.
In questa fase però, l’aspetto che conta di più è quello inerente all’intensità che deve essere particolarmente bassa. Trattandosi di elevare la temperatura corporea, il segnale inequivocabile del raggiungimento dell’obiettivo è l’inizio della sudorazione.
Il riscaldamento specifico invece è l’attività che interessa in modo diretto i gruppi muscolari che sono impiegati maggiormente nell’azione principale; esso deve predisporre all’atto da compiere mediante l’aumento della temperatura locale, della velocità di contrazione e degli impulsi nervosi, deve ottimizzare l’elasticità dei tendini, la disponibilità articolare oltre ad incrementare la coordinazione.
Il riscaldamento specifico si ottiene con esercizi simili all’azione da compiere o con esercizi che riproducono l’azione principale in maniera meno intensa. Se l’esercizio principale è composto da diversi momenti esecutivi, è buona norma fare un riscaldamento frammentando l’azione in modo da non affrontare, nella fase preliminare, variazioni brusche che possano successivamente interferire con l’azione o causare un inutile dispendio di energia.
È evidente che il riscaldamento, nelle sue svariate tipologie e/o forme, non ha soltanto lo scopo di incrementare notevolmente l’efficienza nella pratica sportiva ma interviene soprattutto, ed è questo un aspetto particolarmente importante, nella riduzione della possibilità di incorrere in traumi e/o infortuni e in danni conseguenti che un’attività mal condotta può generare.
Sono sufficienti 5/6 minuti ben fatti di questi esercizi per preparare gli arti all’esecuzione di movimenti sull’intero ROM (Range of movement) senza rischi di infortunio. È importante fare delle distinzioni di allenamento in base a che tipo di prestazione deve essere fatta, se una aerobica o anaerobica. Per quanto concerne la prima, occorre mettere in atto un warm – up mirato a stimolare i meccanismi fisiologici che regolano la vascolarizzazione ed il trasporto di ossigeno, attivare il metabolismo aerobico e preparare le strutture articolari alla successiva prestazione.
Si inizia eseguendo alcuni minuti di attività aerobica ad intensità progressiva impiegando cicloergometri per gambe o braccia avendo cura di arrestarsi prima che sopraggiunga la fatica.
È utile inoltre eseguire movimenti ripetuti a basso impatto come esercizi pluriarticolari a corpo libero e movimenti di circonduzione di spalle, polsi, caviglie, ecc.
Se la sessione di allenamento prevede la pratica di una disciplina sportiva specifica (corsa, nuoto, canottaggio e via dicendo), allora lo stesso esercizio previsto dalla prestazione, eseguito ad intensità graduale, è la forma migliore di riscaldamento.
Meno rischiosa è invece l’attivazione del sistema anaerobico alattacido poiché il tempo di ripristino della fosfocreatina, una molecola organica formata dall’unione della creatina con un gruppo fosfato che pertanto ha un ruolo importante nei tessuti che hanno un fabbisogno energetico soggetto a rapide e temporanee fluttuazioni come il cervello ed i muscoli appunto, è molto veloce (dell’ordine delle decine di secondi) e la concentrazione di metaboliti residui molto contenuta.
Sappiamo che il transiente metabolico, ovvero il tempo che impiegano i vari enzimi del sistema glicolitico per essere pienamente funzionanti, si aggira, per un atleta allenato, attorno ai 90 secondi.
Quindi se lo scopo è preparare al meglio la funzionalità del sistema energetico è inutile molto tempo ad alta intensità durante il riscaldamento, basterà eseguire 3 – 4 “spot” da 30 secondi ad intensità pari al VO2max per “attivarlo” in maniera ottimale senza “stressarlo”.
A ricoprire il ruolo più importante sono invece gli esercizi di simulazione a carichi progressivi e quelli preparatori.
In particolare, il riscaldamento che precede un allenamento in sala attrezzi con carichi consistenti, necessita giusto di pochi minuti (tra i 2 ed i 4) di attività aerobica progressiva, meglio se mirata ai distretti muscolari interessati, mentre deve essere riservato ampio spazio agli esercizi che simulano i movimenti che si andranno a svolgere nella parte centrale dell’allenamento e alla stimolazione della muscolatura stabilizzatrice.
Di seguito mostriamo l’esempio di un metodo di riscaldamento indicato per un allenamento con sovraccarichi per il petto, che prevede come primo esercizio delle distensioni su panca piana con bilanciere, con un carico pari al 75% del 1RM.
- Fare attività aerobica: 4 minuti progressivi al cicloergometro (meglio se per le braccia).
- Eseguire degli esercizi di preparazione: 2 serie per braccio da 15 ripetizioni lente di intra ed extra – rotazioni dell’omero con elastici.
- Fare un esercizio di simulazione: 1 serie da 6 – 8 ripetizioni alla panca piana con bilanciere, utilizzando il 50/60% del carico di allenamento e focalizzando l’attenzione sia sul gesto che sulla postura.
- Avere un breve tempo di recupero (60 secondi circa), in cui si possono eseguire delle circonduzioni di spalle, polsi e capo dove va assolutamente evitata qualsiasi forma di stretching.
- Fare un altro esercizio di simulazione: 1 serie da 4 – 6 ripetizioni di distensioni alla panca piana con bilanciere utilizzando il tra il 70 ed il 75% del carico di allenamento e avendo cura che l’aumento del carico non porti variazioni nella velocità di esecuzione e nella postura.
- Avere ancora un breve recupero (60 secondi circa), in cui si possono eseguire delle circonduzioni di spalle, polsi e capo. Anche in questo caso, va evitato qualsiasi esercizio di stretching.
- A questo punto è consigliabile eseguire una singola ripetizione con il carico effettivo di allenamento (il 10RM) al fine di preparare il sistema neuromuscolare alla prestazione vera e propria.
Riassumendo possiamo dire che il riscaldamento deve avere un’intensità media e una durata variabile; la prima parte di esso deve comprendere circa 10 minuti di attività sia di bassa intensità che impatto, dai 5 ai 10 minuti di mobilità articolare attiva ed infine altri 10 minuti di attività continuata in cui inserire brevi spot ad alta intensità della durata di circa 30” con rapporto fase attiva/fase passiva 1:2. In circa 30 minuti avremo portato la funzionalità dell’organismo al corretto livello di attivazione.
È fondamentale fare sempre affidamento al proprio livello di preparazione individuale e soprattutto alla durata ed alla intensità dell’allenamento o della gara per cui si progetta l’attività.
Quanto più si è preparati o quanto è maggiore la vostra massa muscolare, tanto più prolungato, minuzioso e attento deve essere il riscaldamento.
L’atleta di buone capacità infatti, pur rispondendo meglio ai vantaggi prodotti dal riscaldamento, ha bisogno di più tempo per raggiungere lo stato ottimale. Vanno anche considerate le differenti condizioni climatiche che spesso alterano la risposta di termoregolazione dell’atleta.
Il riscaldamento fatto in condizioni di freddo deve necessariamente essere più intenso e soprattutto il corpo deve essere protetto da tute o coperture affinché il calore non si disperda rapidamente e non si debba ripetere o prolungare l’attività. Un riscaldamento troppo intenso o ripetuto più volte può portare l’atleta a fenomeni di affaticamento che potrebbero essere pregiudizievoli per l’attività principale. La durata del riscaldamento va stabilita soggettivamente ed è efficace quando la temperatura interna corporea si innalza di uno o due gradi. E’ evidente che risulta molto difficile, se non in situazioni sperimentali, poter misurare la temperatura interna (termometro endo – auricolare) di un individuo.
Lo stadio finale del riscaldamento è indirizzato all’attivazione dei sistemi energetici sollecitati durante la parte centrale dell’allenamento. Questo è forse il punto più delicato poiché il limite tra “attivare” e “stressare” è molto labile, soprattutto quando le intensità sono submassimali.
Il problema sorge, in particolare, quando si deve portare a regime il sistema energetico glicolitico: ci riferiamo all’intensità oltre la soglia del lattato e prossime al VO2max.
Il riscaldamento deve essere sempre progressivo partendo da movimenti lenti che simulino le azioni del lavoro centrale e che stimolino quindi i distretti anatomici interessati.
A riscaldamento quasi ultimato, se necessario, è possibile inserire dei movimenti rapidi o esplosivi.
Al termine della fase iniziale di riscaldamento, gli effetti prodotti perdurano per circa 15 minuti di inattività. Tra il riscaldamento e la sessione di allenamento vera e propria, quindi, non deve trascorrere troppo tempo.
Riscaldate dunque i vostri muscoli con dovizia e non sollecitateli eccessivamente perché come disse un saggista giapponese, Haruki Murakami: “I muscoli, come tutti gli esseri viventi, possibilmente vorrebbero vivere senza faticare troppo, quindi, se non vengono caricati di un fardello, si rilassano e dimenticano le buone abitudini. E una volta che la memoria è svuotata, per riempirla di nuovo bisogna ricominciare tutto da capo”.
#L’angolodelbenessere #CoachMery #Staremegliosipuò #Mantenersiinforma