Fano (PU) – “Io sono di Codogno”. Inizia così la lettera di Sara Stroppa, 42enne di Codogno, che vive a Fano per Lavoro dal 2014. Sara non si vergona di dirlo, ma anzi, con fierezza ha deciso di mandare un messaggio forte a tutti coloro che stanno contribuendo ad incrementare la psicosi che si è creata intorno al Coronavirus, la quale sta facendo probabilmente più disastri che l’infezione stessa. “Sono di Codogno – si legge nella lettera di Sara -, proprio lui, quel posto di cui si parla senza sosta da venerdì scorso, un paese di 17.000 anime di cui nessuno sapeva nulla e che è stato catapultato in un folle circo mediatico lo scorso venerdì 21 febbraio. Una mattina come le altre, una notizia che rimbalzava senza controllo tra social e televisione, le nostre vie in onda su tutte le reti, quelle in cui siamo cresciuti, quelle che ti fai con gli amici avanti indietro mille volte il sabato sera, casa mia, l’ingresso del vicolo dove stanno mamma e papà sbattuto in televisione. Un’escalation di aggiornamenti contraddittori, confusione, ansia, media impazziti che fanno a gara per sfornare notizie per primi, vere o false che siano poco importa, non c’è tempo di pensare, contagio dicono, paziente zero dicono, focolaio. Ma quella per me come per tanti altri residenti è solo casa.
Io sono qui nelle Marche e nella zona rossa ho la fetta più grande dei miei affetti. Ho mamma e papà che sono arrivati con i loro capelli bianchi, le loro fragilità e i loro anni per trovarsi in una realtà che non ha nulla di davvero chiaro e sensato per loro, che si affidano a me che sono a trecento e passa chilometri e a mio fratello per avere aggiornamenti veritieri su quello che succede là dentro (mentre vi scrivo mamma mi ha appena chiesto se riesco a vedere come funziona per la spazzatura stasera), il tutto tra continui tentativi di truffa da parte di sciacalli che si fingono personale sanitario o altro. Al di la di tutte le polemiche e le emergenze reali, al di là di tutto questo ci sono le persone, le distanze, gli affetti che devono restare lontani quando invece il bene di prima necessità, il primo, sarebbe proprio restare vicini. Lassù si resta lontani in qualsiasi circostanza”. Una testimonianza forte quella di Sara che chiede a gran voce di smetterla di creare questa psicosi e soprattutto di smetterla di trattare i codognesi come degli appestati, responsabili dell’espansione dell’epidemia in Italia. “Ci stanno attribuendo ogni colpa – continua nella sua lettera, Sara – quando in realtà dovrebbe esserci attribuita soltanto la sfortuna di essere stati i primi a lanciare un allarme su qualcosa che era già ampiamente presente sul territorio. Ci stanno augurando di tutto, da vulcani attivi che ci colino sulla testa a bombardamenti “sanificatori”, un video ieri diceva che il fatto che sia capitato a noi lassù sia la “cosa più bella del modo”. A Codogno ci sono solo persone, ci sono anziani, bambini, famiglie, c’è gente onesta, gente altruista, perché è di quelli che sono responsabilmente rimasti che parliamo, di quelli che si stanno smazzando a fatica e senza alcuna serenità ogni minuto di quarantena (che in troppi pensano sia una vacanza), tutto questo con un senso di responsabilità e civiltà degno di rispetto. Invito tutti a entrare in una delle pagine di quei comuni, quello di Codogno ad esempio, perché solo li ci si può rendere conto di cosa significhi quarantena, di cosa significhi sospendere senza preavviso la propria vita e la propria quotidianità, cosa significhi non sapere come quando è perché (soprattutto il perché) tutto potrà tornare come prima, cosa significhi stare lontano dai propri affetti. Invito tutti a entrare in quel gruppo e magari, invece di seminare odio, di spendere una parola d’incoraggiamento, troverete un’accoglienza che non potreste mai immaginare. Rimaniamo umani”.
La lettera completa la potete trovare al seguente link:
https://www.facebook.com/1991486084507673/posts/2639315203058088/?d=n